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Siamo l’ultimo paese blairista, ma anche borbonico e filo-unno

20 Settembre 2015 da admin

di Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it

Vorrei pubblicamente ringraziare Jeremy Corbyn per il servizio reso alla politica e all’informazione. No, non alla politica e all’informazione britanniche (questo si vedrà) ma a quelle di casa nostra. Grazie per aver rivelato ancora una volta come tutto quanto – ma proprio tutto, dallo sbarco sulla luna e pure prima – venga distorto e reso caricatura se visto da qui, provincialissima provincia, periferia dell’impero. Le ironie sul “papa straniero” sono già state fatte, ogni volta identiche. C’è una sinistra culturalmente ostaggio di un centro-centro-centro-sinistra che ogni volta si innamora perdutamente di chiunque sappia fare la sinistra meglio di lei. E prima Zapatero, e poi Tsipras, e ora Corbyn. e così via, forse aspettando un leader socialista in Kamchatka o alle isole Fiji, in modo che il pellegrinaggio sia più esotico e avventuroso. E vabbé. E poi ci sono tutti gli altri: grandi giornali e leader moderati, renzisti di prima, seconda, terza generazione, Blairisti rinati del Settimo Giorno, e tutto il resto. Va da sé che mister Corbyn non c’entra niente, è solo un detonatore. E’ come se, incapace di affrontare in modo autonomo il dibattito ideologico (uh, parolaccia!) tra le varie sinistre possibili, ci si aggrappi a chi, ovunque nel mondo, quel dibattito lo pratica nei fatti.
Una grossa mano, a mister Corbyn, l’ha data Tony Blair, certo. La sua dichiarazione agli iscritti del Labour (“Anche se mi odiate non votate per lui”) è stata una specie di benedizione: ai laburisti inglesi sta talmente sulle palle Blair per come li ha snaturati che avrebbero votato chiunque pur di seppellire una volta per tutte il suo fantasma cinico e traffichino. Qui da noi, invece – l’unico angolo del mondo in cui c’è gente che si dice ancora blairista (che è un po’ come dirsi Borbone, o filo-uno) – è partita la sistematica distruzione del personaggio Corbyn. Passi per i renzisti di stretta osservanza. La loro narrazione è semplice e lineare, in qualche modo coerente: vincere è l’unica cosa che conta, per vincere bisogna essere destra, quindi Corbyn non vincerà (sottotesto: noi sì). Un sillogismo di prima figura che li fece sentire tanto furbi già al liceo.
Con Corbyn c’è qualche variante. Intanto (successe già con Tsipras) si fa grande uso della formula “estrema sinistra”, il che è assai rivelatore: siamo così poco abituati a leader che dicono cose di sinistra che quando ne vediamo uno dobbiamo dargli del pericoloso estremista. E populista, va da sé, che è ormai l’insulto standard per chi non va in deliquio ai tweet (quelli sì, populisti) di Matteuccio nostro. In Gran Bretagna, il primo ministro definisce il capo del Labour “pericoloso”. Hurrà! Era ora: che il leader della sinistra sia “pericoloso” per la destra pare una boccata d’aria fresca, oppure – a seconda delle angolazioni – un vento gelido, per un paese come l’Italia dove un leader di “sinistra” capo del governo è considerato una risorsa e un toccasana da Verdini, Cicchitto, Berlusconi, Confindustria, più Fede Emilio, parlandone da vivo. Corre a rinforzo la grande stampa: Corbyn si veste male. Corbyn non mette donne nel suo governo-ombra (falso, ma tant’è). Aspettiamo con apprensione “Corbyn posteggia in seconda fila” e “Corbyn si lava i piedi solo al giovedì”, sempre temendo l’attacco frontale: “Corbyn non fa la raccolta differenziata”. Per “Corbyn non sa l’inglese” e “Corbyn ruba nei supermercati” è presto, ma chissà, forse aspettano un sms che inizia con: “Renzi ai suoi”.

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