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Tra un imam e un sacerdote non c’è più spazio per gli atei

15 Gennaio 2015 da Emilio Conti

di Alessandro Robecchi – www.alessandrorobecchi.it

Gli eventi storici hanno i loro piccoli dettagli. Così vorrei ringraziare il sindaco di Parigi, madame Anne Hidalgo, o chi per lei, per certi cartelli stradali – quelli con gli avvisi di servizio agli automobilisti  – scritti nell’ormai irrinunciabile formula del “je suis”. “Je suis”… ebreo, musulmano, cristiano, poliziotto eccetera eccetera e anche, per una volta, “ateo”. Ecco, grazie. Che a ricordare questa minoranza (?) di senzadio per scelta sia la città che ha insegnato il laicismo a tutti mi pare giusto. E un po’ meno giusto mi pare invece la voce degli atei non si senta praticamente mai. Mentre Parigi e la Francia facevano qualcosa di storico, gridando slogan come “Li-berté d’ex-pression”, qui da noi ci beccavamo Salvini in heavy rotation come la canzone regina, per una volta de-felpizzato ma stoico come un fachiro a recitare il repertorio.
Vespa col mitra in mano, ci ha dato qualche soddisfazione, per il resto, dibattito fiacco e molta polvere sull’Islam, soprattutto da destra (i soliti delicati titoli di Libero e il Giornale) e alcuni interessanti interventi su religione e democrazia, religione e gente che ammazza altra gente, religione e crisi economica, religione e fanatismo. In sostanza un enorme, un po’ informe, dibattito sul laicismo senza che mai (o molto raramente) si sentisse pronunciare questa parola e senza che mai qualcuno si alzi a dire che c’è pure caso che Dio non esista.
Si sa che i vegetariani non guardano le vetrine delle macellerie, e così sarà difficile per un ateo comprendere fino in fondo i sottili distinguo e i grandi dogmi delle religioni, delle loro correnti, sfumature, sette, apparati, schegge impazzite, predicatori e propagandisti. Certo è – anche per gli atei – che questa faccenda di Dio ha mille sfaccettature. Lungo le freeweay americane è tutto un  fiorire di cartelli contro il darwinismo, o un indicare numeri di telefono: “Chiama Gesù, lui ha la risposta”, per non dire degli adesivi sui paraurti tipo: “Gesù ha detto che non devi tamponarmi”. Poi ci sarebbero altri dei, più o meno cattivi, o descritti come molto cattivi da chi agisce in loro nome. Poi ci sarebbe il grande dibattito su Bibbia, Corano e testi sacri: cosa c’è scritto veramente, come va interpretato, come va letto storicamente. Un ateo osserva tutto questo un po’ costernato, da fuori, come assistendo a un folle spettacolo in cui la fede in Dio oscilla da “fammi vincere a bigliardino” a imbottire i bambini di tritolo, e probabilmente ciò rafforza il suo scetticismo. Quando gli autori di Charlie Hebdo parlano di “Diritto alla blasfemia”, probabilmente intendono questo, e ora che si discetta apertamente di guerre di civiltà e di religioni la cosa ha un suo fondamento. A guardarla bene, la manifestazione di Parigi era questo: una rivendicazione di laicità universale. Cercate di non fare troppi danni con il vostro Dio e soprattutto lasciate in pace noi. Non diverso da quello che scriveva (in tempi non sospetti, cioè quando non gli ammazzavano i redattori a mitragliate) François Cavanna, che di Charlie Hebdo fu il fondatore. Una lunga invettiva verso dogmi, fedi, credenze, pratiche, superstizioni e imposizioni che si concludeva con:  “Non rompeteci i coglioni. Fate i vostri salamelecchi nella vostra capanna, chiudete bene la porta e soprattutto non corrompete i nostri ragazzi”. Ecco, un punto di vista fieramente ateo, che nessuno cita nelle profonde elucubrazioni di questi giorni, e che avrebbe, invece, pieno diritto di cittadinanza nel dibattito.

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